Blog. 27 Giugno 2014

Zaha per le olimpiadi di Tokyo 2020

Fonte: Repubblica.it

Questo che vedete è il progetto del nuovo stadio che sorgerà a Tokyo per le Olimpiadi del 2020. Basta vederlo, per capire chi è il progettista: la designer irachena Zaha Hadid, celebre in tutto il mondo per il suo tratto fluido, che è diventato il segno distintivo del suo progettare. Quest’opera monumentale però ha aperto un grande dibattito sulla responsabilità degli architetti e sulla funzione dell’architettura oggi: le opere devono essere evidenti manifesti del designer, simboli che come dei loghi vanno a marchiare i vari paesi del mondo, oppure gli edifici devono integrarsi con l’ambiente e interpretare i luoghi e la cultura e la storia degli abitanti?

A Tokyo, il 21 luglio, si terrà un simposio internazionale, una riflessione sull’estetica e sulla costruzione partecipata delle nostre città. Punto di partenza del dibattito è proprio il progetto di Zaha Hadid per lo stadio olimpico di Tokyo. Il relatore d’eccezione è Fumihiko Maki, l’architetto giapponese premio Pritzker nel 1993.

Si ritorna sul tema tanto caro a Daniel Libeskind: per l’architetto di Ground Zero, progettare «non è solo costruire, ma è «fantasia, desiderio, immaginazione, una disciplina che deve studiare l’uomo, come vive, come abita, cosa desidera, per dare delle risposte concrete e poetiche allo stesso tempo». E continua: «l’architettura non deve essere al servizio dei regimi, non deve essere propaganda, né vezzo delle archistar. Progettare è creare simboli, luoghi da vivere e nei quali riconoscersi».

Di Francesca Gugliotta