Blog. 8 Settembre 2010

Biennale 2010

People meet in architecture?
Ma io ho mancato l’ingresso…

Avevo i pantaloni bianchi. Sotto l’acqua. Venezia quando piove è una tragedia, l’acqua è ovunque. Ti  senti un pesce a cui sono state tolte le branchie. Sarà perché l’ho vissuta così’ la mia giornata alla Biennale, ma questa dodicesima mostra di architettura non è che mi abbia proprio convinto. In primo luogo, arrivata all’ingresso dell’Arsenale, non so come né perché ma ho tirato dritto, ho saltato l’accesso alla mostra. Di sguincio ho poi notato che qualcosa alla mia destra si animava. Ho buttato l’occhio e sono entrata. A metà percorso ho però beccato il  Regno del Bahrain che ha vinto il Leone d’oro per la migliore partecipazione nazionale e davvero meritava il costo del biglietto. La ricostruzione di tre capanne di pescatori a testimoniare un rapporto diretto tra il mare e l’architettura. Un modo per sedersi tra loro e ascoltare le loro storie. Alle pareti, infatti, i monitor fanno scorrere le immagini delle interviste:un documentario sull’impatto della progressiva urbanizzazione del territorio.
Restando in Arsenale, è d’obbligo una visita al Padiglione Italia, dove la mostra curata da Luca Molinari, ci affascina con la storia dell’architettura degli ultimi vent’anni, ci presenta le attuali emergenze e ci fionda nel 2050 con progetti al neon e idee fluorescenti.  Spostandosi ai Giardini, merita una visita il padiglione russo, cinque studi lavorano per rivitalizzare  un paesaggio industriale grazie ad un’accurata trasformazione architettonica. I curatori hanno scelto Vyshny Volotchok, città con una grande storia oggi in declino,  per farne un modello.  Poco più in là, invece,  è il Padiglione francese, si entra in uno spazio vuoto alle cui pareti scorrono proiezioni della vita metropolitana di Lione, Bordeaux, Marsiglia e Nantes in un confronto con l’esperienza parigina, il tutto immerso nella penombra, sotto la voce metallica dei registratori. Di progetti non se n vedono, ma l’esperienza è di sicuro impatto emotivo. Ca va sans dire.